Macchine e burocrazia

Il logo della ditta produttrice di macchine per scrivere  Sun Typewriter
Il logo della ditta produttrice di macchine per scrivere Sun Typewriter

In un mondo sempre più dematerializzato forse non facciamo più caso all’aspetto estrinseco dei documenti burocratici con cui quotidianamente veniamo in contatto. Ogni certificato appare sempre uguale a sé stesso sui nostri schermi, garantito da una firma elettronica. Ogni modulo che riempiamo può essere compilato a video in un carattere regolare e perfettamente leggibile.


Nella lunga storia del Monte di Pietà e la Cassa di Risparmio, tuttavia, prevalgono i documenti manoscritti redatti in una grande varietà di stili, forme e supporti. Anche con la diffusione della stampa i documenti ufficiali sono talvolta composti da una parte prestampata ma da completare comunque a mano. Ciò ha determinato per secoli una grande difficoltà da parte del popolo meno letterato ad accedere al contenuto e, spesso, a essere vittima di truffe e raggiri compiuti attraverso documenti falsificati.


Questo spinse molto precocemente i due istituti a dotarsi di macchine da ufficio meccaniche. L’archivio storico della Fondazione Roma conserva infatti anche alcuni interessanti esemplari di quella che, un tempo, fu una tecnologia all’avanguardia.


Macchine per scrivere

Tra le macchine per ufficio più comuni c’è senz’altro la macchina per scrivere. Si diffuse velocemente nelle più disparate realtà lavorative grazie alle dimensioni contenute, semplicità d’uso e per la rapidità che offriva nell’esecuzione del lavoro di scrittura. L’esemplare della Fondazione Roma è un modello in ghisa degli anni 20, costruito dalla ditta statunitense Sun Typewriter Company che fu in attività dal 1895 al 1924. La macchina ha 81 caratteri che in riposo giacciono orizzontalmente all’interno della macchina, dotati di maiuscole e minuscole. Ingegnoso il sistema con cui ogni carattere viene inchiostrato prima di battere sulla pagina: anziché ricevere inchiostro da un nastro il tasto batte su un tamponcino che, ad ogni colpo, viene imbevuto da un serbatoietto cilindrico fissato accanto, ben visibile nella foto.

Macchina per scrivere SUN (anni '20)
Macchina per scrivere SUN (anni '20)

Macchine per il calcolo
In un istituto basato su cifre e numeri non poteva mancare una macchina calcolatrice. L’esemplare conservato in archivio fu prodotto dalla ditta tedesca Brunsviga nei tardi anni ’20 ed è un modello completamente meccanico. A differenza delle moderne calcolatrici è priva di tastierino numerico e può eseguire soltanto addizioni: l’operatore impostava manualmente le cifre tramite dei cursori e otteneva il risultato azionando una manovella. Soltanto con l’avvento delle macchine elettriche verrà aggiunta la possibilità di eseguire moltiplicazioni e divisioni.

Macchina da calcolo Brunsviga
Macchina da calcolo Brunsviga

Compilatrici di assegni


Ben più insolita è la macchina per compilare assegni. L’esigenza di adottare una simile macchina non venne dalla velocità che offriva nel preparare questi titoli di credito quanto piuttosto dal desiderio di evitare contraffazioni. Un abile falsario, infatti, poteva apportare modifiche di ogni tipo, a seconda dell’assegno e delle circostanze: alla cifra emessa, al nome di chi lo emetteva, a quello di chi doveva incassarlo, alla data. La responsabilità di un assegno falsificato o compilato malamente ricadeva su chi lo emetteva, dunque presto gli istituti bancari si dotarono di una macchina che contrassegnava in modo sempre uguale e coerente le caratteristiche distintive del documento. La produzione inizia negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento e si diffonde soprattutto negli anni ‘30 del Novecento. L’esemplare della Cassa di Risparmio risale agli anni ’20 e fu realizzato dalla ditta americana Todd Protectograph & Co, fondata nel 1899. La macchina imprimeva il testo sul foglio dell’assegno mediante punzonatura e simultanea applicazione di inchiostro: il punzone alterava le fibre della carta che venivano poi riempite dall’inchiostro. In questo modo era impossibile modificare o cancellare le scritte originali. Per maggiore sicurezza l’ammontare dell’assegno veniva stampato in due colori, nero e rosso.

Macchina per la compilazione di assegni, marca Todd Protectograph & C (anni '20)
Macchina per la compilazione di assegni, marca Todd Protectograph & C (anni '20)

Affrancatrici automatiche della posta


Le macchine per affrancatura meccanica furono introdotte in Italia alla fine degli anni ’20 del Novecento. Sostituivano l’uso dei francobolli stampigliando sulle buste l’importo equivalente a quello di un valore bollato. L’esigenza nacque quando cominciarono ad aumentare i volumi della corrispondenza emessa da alcuni enti, soprattutto statali. A parte il fastidio di doverli incollare singolarmente su tante buste, utilizzare i francobolli imponeva all’ente un costante approvvigionamento e soprattutto lo esponeva al rischio dei piccoli furti di materiale bollato da parte del personale. La macchina affrancatrice permetteva quindi di tenere meglio sotto controllo la spesa per i francobolli, utilizzandone solo quanti necessari e risparmiava tempo. Anche le Poste si avvantaggiavano della diffusione di queste macchine: risparmiavano sulla produzione dei francobolli e sulla percentuale che spettava ai rivenditori (il grande circuito dei tabaccai). In più, era molto prestigioso per un ente poter esibire un bollo personalizzato. Il bollo postale stampigliato dalle macchine era infatti costituito da tre elementi: i primi due erano preimpostati, cioè il bollo vero e proprio con valore e il sigillo delle Poste di Stato; il terzo era personalizzabile con il proprio simbolo o logo, come diremmo adesso, indirizzo o altri dati. L’inchiostro utilizzato, rosso, garantiva che le affrancature automatiche fossero immediatamente riconosciute. La macchina della cassa di Risparmio risale agli anni ’60-’70 del Novecento. È un modello Parva 65 operato meccanicamente a manovella, prodotto dalla SIMA (Società italiana macchine affrancatrici).


Francesca Garello

Macchina affrancatrice SIMA, modello Parva 65 (anni '60-'70)
Macchina affrancatrice SIMA, modello Parva 65 (anni '60-'70)

Segnatura: Fondo MdP, Raccolta di strumenti d'azienda, nn. 6-9.