L'ambiguo compagno di Roma

Buono per l'assegnazione di beni ai danneggiati della piena del Tevere (1846)
Buono per l'assegnazione di beni ai danneggiati della piena del Tevere (1846)

La città di Roma e il suo fiume, il Tevere, sono intimamente legati fin dalle origini. Fu infatti la presenza di questo corso d’acqua a indurre le popolazioni che vivevano nella regione a riunirsi sulle sue sponde. L’area infatti, oltre a offrire acqua potabile in abbondanza, forniva anche un facile guado grazie alla presenza dell’isola Tiberina.


I primi insediamenti stabili, però, si collocarono piuttosto sulle alture circostanti. Il fiume offriva acqua e guado ma anche paludi malsane e terreni instabili.


Questa situazione è emblematica del rapporto che legherà per millenni Roma e il suo fiume: una difficile convivenza con un compagno portatore di molto bene ma anche di grandi mali.


Tra i mali ricorrenti vanno senz’altro annoverate le piene con relativa esondazione delle acque, testimoniate dalle tante epigrafi sparse nel centro storico di Roma attestanti l’altezza raggiunta dal livello dell’acqua. La più antica è relativa alla piena del 6 novembre 1277 ma il fenomeno era presente anche nell’antichità.


Anche nell’archivio del Monte di Pietà si trova testimonianza di questi eventi. L’istituto, infatti, fedele alla sua missione di sostegno alle fasce più povere della cittadinanza, in occasione della piena del 10 dicembre 1846 organizzò una distribuzione di beni di prima necessità per alleviare i disagi di chi aveva perso tutto.


Venne diffusa una serie di “buoni” che davano diritto a ritirare presso la sede del Monte completi da letto, dal materasso a coperte e lenzuola, ma anche vestiti da donna o “da giovanetti”, calzature comprese, oppure singoli indumenti come camicie e scarpe.


I buoni sono raggruppati secondo l’area di residenza dei danneggiati, riferita a una chiesa, e al funzionario che li aveva emessi. Generalmente sono intestati a una persona, probabilmente il capofamiglia o il proprietario dell’abitazione resa inagibile. 


Il numero dei documenti conservati in archivio è notevole, quasi ottocento, e per giunta approssimato per difetto. Due gruppi infatti, relativi a monsignor Valentini, segretario della commissione assegnatrice, e al principe Doria, sono ancora chiusi in pacchetti sigillati con ceralacca. Considerando che ogni buono fornisce beni per più di una persona e che certamente il Monte poté assistere solo una parte dei danneggiati, si comprende che il numero delle vittime della piena dovette ammontare a diverse migliaia.


Oltre a testimoniare l’incessante opera di assistenza del Monte di Pietà nei confronti della popolazione, i documenti si prestano a diverse analisi che illustrano vari aspetti della storia della città.


La distribuzione topografica dei buoni, per cominciare, ci illumina su quali aree cittadine fossero maggiormente soggette all’esondazione delle acque: il record, 137 esemplari, lo raggiunge l’area attorno alla chiesa dei Ss. Celso e Giuliano in via del Banco di Santo Spirito, non lontano dal ponte Sant’Angelo. Subito dietro, con 96 buoni, troviamo l’area della cosiddetta “Transpontina”, subito al di là del Tevere in zona Borgo Pio. Altri 78 buoni sono riservati alla non lontana chiesa di S. Spirito. Anche la zona di S. Pietro non fu esente da danni, dato che le sono dedicati altri 47 buoni. In questo punto dunque il fiume debordava da entrambe le rive, creando un unico bacino allagato con il letto originale del fiume al centro.


Naturalmente l’acqua invadeva anche la zona del centro storico racchiusa dall’ansa del Tevere. 48 documenti fanno capo alla chiesa di S. Maria del Popolo, altri 47 alla basilica di S Agostino, subito a nord di piazza Navona. L’inondazione in questa circostanza raggiunse persino l’area dell’Isola Tiberina, dove risultano assegnati 18 buoni alla chiesa di S. Bartolomeo e 24 a S. Nicola in Carcere, sulla sponda del fiume di fronte ad essa.


I buoni offrono inoltre un interessante spaccato sulle relazioni tra la Roma papale e la comunità ebraica. Il Monte di Pietà, con senso di misericordia che trascendeva i confini religiosi, si occupò anche della cosiddetta “Università israelitica”, appunto la comunità ebraica. Risultano infatti in archivio 18 buoni intestati all’Università, tra cui spicca un esemplare valevole per 40 letti.


La piena del 1846 non fu l’ultima della storia di Roma. Ce ne fu un’altra nel dicembre 1870, pochi mesi dopo la breccia di Porta Pia e l’annessione della città al regno d’Italia. La circostanza spinse il nuovo governo a adoperarsi per risolvere questa piaga inaccettabile in una moderna capitale europea. Nel 1875, grazie alla cosiddetta “legge Garibaldi”, fu varata la costruzione dei grandi muraglioni che ancora oggi proteggono la città dal suo ambiguo compagno.


Francesca Garello

Segnatura: Fondo MdP, Sez. V, Contabilità; sottosez. V, Miscellanea contabile; serie 2, Carte e fascicoli sciolti; fasc. 13.